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Sde Bokèr

Di Duccio Castelli



Andavo per qualche giorno in giro coi parenti.

Nel buio del viaggio in bus per una regione desertica di Israele,  ad una fermata  salì sola, una ragazza di un Kibbutz.

Avevamo tutti e due vent'anni.

Si sedette di fianco a me, non so come fu. Ripartimmo e cominciò a parlarmi come se ci conoscessimo da molto. Me ne innamorai dopo qualche minuto.  Ed anche lei.

Era dolce, minuta e per me bellissima, nella penombra.

In inglese ci raccontavamo che cosa facessimo lì, mentre brillavano barlumi dagli occhi all'incrociare di qualche automobile nel buio. C'era aria di guerra e lei aveva con sé il suo mitra.

Improvviso un coro a cui tutti i presenti casuali parteciparono infervorati: diceva  "è' venù shalom elerhèm" e lo imparai subito. Lo ricordo ancora. Cantavamo commossi nella notte tra uno sbattacchiare  e l'altro di quella tradotta civile.

Mi disse sono quasi arrivata. 

Restammo in silenzio per un paio di disperati minuti del nostro magone. Le circostanze erano tutte a nostro sfavore e lo sapevamo.

Ci salutammo e ci baciammo sui nostri visi senza nome.  Scese.

Fu una cinquantina d'anni fa  e con un groppo in gola che mai scomparve, non ci vedemmo più.

Ma forse domani. 

Se così,  certo non avremo settant'anni.


 
   
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