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Bob Scobey & Clancy Hayes
Puntata nell’essenza del jazz
 


di Corrado Barbieri


Mi fulmino’, al mio secondo/terzo ascolto della musica afro-americana. Un drive spaventoso e una “rotondità” di suono catturante in ogni stato d’animo in cui ci si trovi.


E poi quelle copertine dei suoi dischi, di cartone pesante, con stampata l’arte pop che stava da non molto prendendo piede, il tutto immerso nel profumo dei vinili, quelli veri, cioe’ i 25 cm che stavamo nascendo.


Bob Scobey, una tromba probabilmente dimenticata al di fuori della California, ma non a San Francisco, “ Frisco” per gli addetti, dove era nato non da  molto lo stile che portava quel nome.  Il nome spagnolo della città, prima che gli yankee…la espropriassero…era stato Yerba Buena. E proprio quel nome fu adottato dalla prima band dove Scobey milito’, la Y.B.Jazz Band, dove, affiancato dal titolare dell’orchestra, Lu Watters, suonava giovanotto come un veterano jazzista di New Orleans! Qualcuno arguisce che fosse nato “ imparato”…come trombettista.


Il timbro argentino della sua tromba, mutuato da Bunny Berigan ( meraviglia della tromba morto giovane ed etilista) affascinava nei blues come nei tempi piu’ veloci dove era superbo. Nei lontanissimi anni ‘50 i primi appassionati di jazz classico lo avevano snobbato, non era nero, era un “ revivalist”, cioè quelli che suonavano il jazz non appartenendo alle prime generazioni (Oliver Armstrong, Ory e tutti gli altri). Poi esplose registrando una lunga serie di album splendidi.


Una medium nera a un tavolo del locale dove suonava gli fece una nefasta predizione. E in effetti un cancro lo assali’ a poco più di 40 anni. In fase terminale, una sera volle alzarsi, prese la tromba e ando’ al suo locale. Dicono abbia suonato come un dio! Qualche ora dopo morì. Non e’ leggenda, sono le parole della moglie, la ballerina Jan Scobey, in una telefonata allo scrivente, che le suggerì di scrivere un libro, oggi reperibile su Amazon, “ He rambled”. 


Emozioni. E quale piu’ intensa di ascoltare i brani di Scobey dove gli assolo sono intercalati da quelli del canto jazz di Clancy Hayes . Il canto jazz, per chi approccia, non e’ né lo splendido, sofisticato, personale, intenso canto delle jazz vocalists, le affascinanti signore della musica afro-americana, e’ un canto spontaneo, che salta fuori in modo naturale, intonato da un musicista che suona uno degli strumenti della band. Non ha acuti, bassi, e’…uno che ha voglia di cantare e canta! Come gli schiavi neri nelle piantagioni o altrove al sud, e ne esce qualcosa di cosi’ fresco, genuino, spesso ammiccante, ironico, che si sposa con gli strumenti della band in modo perfetto, come un incastro. E li’, tocchi l’essenza del jazz ! 





 
   
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