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LETTERA A ELVIS PRESLEY




Di Corrado Barbieri

 



Sei stato talmente grande che se non fossi esistito si doveva per forza, a un certo punto, inventarti, non foss’altro che per la necessità impellente dei giovani di essere vitali e di cominciare a ribellarsi alle soffocanti convenzioni conformiste che ancora attanagliavano la nostra società occidentale. Di certo, della vitalità fosti simbolo assoluto e imperituro.
Ho sempre suddiviso la tua storia e la tua produzione artistica in due periodi. L’iniziale fu quello dell’esplosione del Rock’n Roll, dove sei stato una potentissima forza creatrice e innovatrice, ma anche un fenomeno sociale, direi fino a segnare uno spartiacque generazionale. Ci si può accorgere della differenza semplicemente guardando le fotografie dei giovani ante metà anni ‘50 e quelle successive.
Tutti vestivano, si acconciavano, si atteggiavano a Elvis Presley, e il tutto coincideva con il fermento che stava per coinvolgere l’intera società americana, e poi occidentale, per ragioni profonde. Era in atto un cambiamento etico ed estetico, e tu eri uno degli ispiratori.
Mi ha sempre sorpreso come in questo periodo la tua musica,che aveva tratto potente ispirazione dal gospel, dal blues,dagli spirituals, avesse influenzato anche artisti neri, e avesti temibili “concorrenti” nelle straordinarie figure di Chuck Berry, Little Richard, Fats Domino.
Poi subentrò un periodo diverso, in cui la carica ritmica del Rock’n Roll iniziò al alternarsi nel tuo repertorio con brani molto sentimentali, struggenti direi, come "Love me Tender" o "Are You Lonesome Tonight", che avevano il potere di narcotizzare gli animi dei giovani con atmosfere romantiche. Senza dubbio un effetto delle potenti spinte commerciali di chi aveva afferrato in pieno il tuo fenomeno. Però non fu uno scadimento, anzi, nacquero brani che furono pietre miliari della musica pop, sempre coinvolgenti, sempre in grado di dar luogo ai sogni.
E qui riprendo però il tema del Million Dollar Quartet (vedi in questa Sezione) di quell’occasione irripetibile e informale che ci ha donato una perla di ascolto. In effetti tu ne fosti il conduttore e l’interprete principale.
La voce che si rivolge ai tuoi amici è la tua, gli stacchi e le riprese le decidevi tu, d’altra parte loro stessi ti consideravano e anche ti chiamavano “The King”.
Desti tutto e avesti tutto dalla vita, e questo ti fece perdere la direzione, ti tirò in una spirale psicologica distruttiva. Per avere un’idea delle dimensioni di quanto la vita ti dispensò, basta pensare che a distanza di mezzo secolo abbondante, migliaia e migliaia di persone ti idolatrano, ti celebrano, anzi, sono convinti che tu non sia morto, ma solo nascosto da qualche parte! Se non è immortalità questa!!
In realtà ci lasciasti troppo presto. Avrei voluto invece invecchiassi, per magari ascoltarti in qualche intervista, su una sedia a dondolo di una veranda, quelle classiche del tuo Sud, non l’orrenda villa kitsch che abitavi a Graceland, a raccontarci la tua vita, canzone per canzone, emozione per emozione.




 
   
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