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PICCOLO GRANDE RICHARD



 

di Corrado Barbieri


Richard Wayne Penniman. Questo il vero nome di Little Richard. Si puo' definirlo figura eminente del Rock'n' Roll, ispiratore di grandi artisti dell'ultimo quarto di secolo, nomi come James Brown, Otis Redding, i Beatles, i Rolling Stones, Jimi Hendrix (inizio' nel suo complesso) che hanno dichiarato tutti apertamente la sua influenza sulla loro musica, oppure semplicemente come appartenente ai Magnifici Cinque del rock'n' Roll, una cerchia da me appena battezzata, un concentrato di artisti di alto livello come raramente la storia ci ha mostrato: Elvis Presley, Jerry Lee Lewis, Chuck Berry, Little Richard, Fats Domino. Musicisti che nel giro di un pugno di anni infiammarono come nessun altro le platee mondiali, e Little Richard ebbe in tutto questo un ruolo a sua volta di punta, per la forza del suo canto, per gli urli musicali che nessun altro dei colleghi usava e per un insieme di altri fattori.

In Italia i suoi dischi apparvero in contemporanea a quelli di Elvis, ma i brani di Little Richard erano ascoltati con piu' attenzione, si puo' dire che si ballava con il primo Presley e ci si entusiasmava ascoltando al giradischi i ritmi scatenati di Richard: i suoi urli erano perfettamente cadenzati, la sua voce era eccitante e aggressiva, e l'uso del sax nel suo complesso, un misto tra funky e jazz, consentiva anche di raggiungere il pathos. "Long Tall Sally", una valanga velocissima di ritmo, "Tutti frutti " la piu' popolare con il suo non-sense, "Lucille", con l'ultima sillaba che si trasformava in un urlo gutturale, "Rip it Up", ritmo con parole che sembravano piu' colpi di una raffica di mitra, "She' s got it", ritmata piu' lenta ma bellissima.

D'altronde, piu' che in altri la sua musica usciva direttamente dai gospel e dal Rythm and Blues. Si puo' definirlo il piu' afro-americano di tutti e cinque i citati, dove lo e' anche il grandissimo Chuck Berry, ma piu' sofisticato, piu' virtuoso alla chitarra, anche fisicamente piu' trascinante, mentre Little Richard era piu' selvaggio, piu' vulcanico.
Certo il personaggio e' stato un concentrato di stranezze ed eccessi, palesi perche' in fin dei conti era la sua estroversa personalita' , che galvanizzava le platee : vestiva con colori sgargianti, ciuffo alto venti centimetri imbrillantinato, corpetti di metallo sul torso nudo, occhi bistrati in modo appariscente, baffetti sottili apparentemente disegnati, sguardi dei suoi occhi spiritati e movenze che volutamente mettevano in evidenza la sua bisessualita'.

Nato da una famiglia nera in pieno segregazionismo, cresciuto alla musica delle consuete chiese battiste, tardo' qualche anno a fare breccia, poi il successo, con una soddisfazione a cui lui teneva in particolare: quando si esibiva, il settore bianco e il settore nero dopo poco iniziavano a mischiarsi, il segregazionismo con Little Richard iniziava a perdere colpi.
Proprio per questo fu anche preso di mira dalle varie organizzazioni razziste che negli anni '50 ancora imperversavano.
Il fenomeno era pero' scoppiato, incontenibile. Unico freno la stranezza del personaggio, che dopo l'enorme successo iniziale improvvisamente scomparve per darsi alla predicazione evangelica, che a cicli abbandono' e riprese, alternando una vita da artista senza regole a una vita di predicazione nelle chiese del meridione americano.
Alti e bassi pero' non hanno mai scalfito la sua travolgente musica e la sua figura di artista originale, cantante e compositore, in una carriera lunga oltre mezzo secolo. Si potrebbero citare sue apparizioni in film, in serial televisivi, in concerti memorabili, anche in Italia, ma il mio consiglio e' di concentrarsi davanti a un suo album di tutti hits, riascoltando in particolare brani come " Baby Face " o " Keep A-knockin' " per essere investiti da un flusso emotivo travolgente.



 

 
   
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