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ANATOMIA DI UN OMICIDIO





Di Corrado Barbieri

C’e’ un fascino in questo film ( 1959 ) del grande Otto Preminger che va ben oltre il dipanarsi di una vicenda molto ben congegnata e sufficientemente ricca di colpi di scena. Mettiamolo in luce lasciando da parte il titolo che e’ molto comune e che potrebbe far scambiare l’opera per un noir da chi ancora non la conosce.
C’e’ innanzitutto un sottofondo di piacevole relax che non e’ facile riscontrare in una storia giudiziaria, il cui merito va soprattutto a uno straordinario James Stewart, nel ruolo di un avvocato difensore dotato di arguta, simpatica ironia, che sottolinea le splendide battute volute dallo sceneggiatore Wendell Mayes con una recitazione espressiva e gestuale magistrale.
Paul Biegler ( Stewart ) e’ un ex pubblico accusatore, di lunga esperienza, che non e’ stato riconfermato alle elezioni ( negli Stati Uniti la carica e’ elettiva), evento che lo ha demotivato, facendolo propendere per un basso profilo professionale. Piccole cause, la passione per la pesca, per il piano jazz, rifugio da una disillusione che lo ha lasciato scettico e sfiduciato.
Biegler ha una sorta di spalla, di aiuto, un amico ex giudice ormai alcolizzato ( Parnell McCarthy ) interpretato dal bravissimo Arthur O’Occonnel, uno dei grandi caratteristi della storia di Hollywood, che sara’ il primo fattore di sostegno nella sua amarezza.
Se consideriamo che la colonna sonora e’ di Duke Ellington, che appare anche brevemente sulla scena, ci accorgiamo che gli ingredienti per un film “ eterno “, da vedere e rivedere, ci sono tutti, non ultima la rassicurante atmosfera della provincia americana degli anni ‘50, un po’ sonnacchiosa e intima, resa armoniosa dall’ottimo bianco e nero. Occorre tuttavia trasporsi in quegli anni per capire che fu anche uno dei film di rottura per l’America puritana, una pellicola in cui appaiono situazioni e termini tabu’ per quei tempi : lo stupro ( quante volte taciuto o solo sottinteso in molti film dell’epoca), i dettagli dell’atto sessuale nelle parole del medico legale, l’imbarazzo degli avvocati e del giudice del processo nel pronunciare il termine “ mutandine “, il vestire sexy della protagonista Lee Remick ( nella parte di Laura Manion ) e i relativi apprezzamenti maschili.
Sfumature, ammiccamenti alternati ad atteggiamenti decisi, ritmo serrato ma fluente e mai eccessivamente convulso, e per giunta un “ under-acting “ da parte di un Ben Gazzara  (l’imputato per omicidio, Tenente Frederick Manion ) in una parte piuttosto enigmatica, danno al capolavoro una rara piacevolezza per una vicenda giudiziaria.
Biegler e McCarthy grazie alla loro abilità forense vinceranno la causa, Manion tornerà libero e i due amici si metteranno in società, ricominciando con l’entusiasmo di un tempo.
Considerando che l’opera dura oltre due ore e mezzo, per chi apprezza e’ un godimento da non perdere, anzi da riprovare di quando in quando!

 

 

 

 
   
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