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ADRIANO OLIVETTI, IL FABBRICANTE DI LUCE

“ Il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità, o coraggio di fare. Un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia da qualche parte, solo allora diventa un proposito, cioè qualcosa di infinitamente più grande “ ( Adriano Olivetti )



 Di Giorgio Viola

 


E' indiscutibile che una delle maggiori realizzazioni tecnologiche del XX secolo sia il personal computer. Nell'immaginario collettivo, la straordinaria genesi di questo veicolo di calcolo e di sapere trae origine da una leggenda legata al simbolo di una mela addentata e da un anonimo garage californiano. Ma, come spesso accade nella storia, la leggenda rimane tale.
In verità questo ormai indispensabile ausilio di uso quotidiano ha preso vita 15 anni prima di quel millantato credito e a 10.000 km di distanza dalla California, nella piccola città piemontese di Ivrea! Il prototipo di questa “macchina pensante” venne presentata alla Fiera Mondiale di New York nell'aprile 1964, in anticipo sul futuro e creata per condensare la potenza di un grande calcolatore in un oggetto da scrivania, utilizzabile facilmente da tutti e a un prezzo accessibile, il suo nome era: Olivetti Programma 101.
Le fondamenta di questo risultato prendono spunto dalla vita di un illuminato innovatore che cercò con tutte le sue forze morali ed intellettuali di trasformare il lavoro dell'uomo in una curiosa ed instancabile forma di progresso, nel decoro della vita umana e nel rispetto delle aspirazioni dei cittadini, cercando di affrancarsi dal profitto come fine unico dell'impresa.
Adriano Olivetti nasce agli albori del novecento, figlio di Camillo, fondatore ad Ivrea dell'omonima fabbrica italiana di macchine da scrivere. Di famiglia israelita, Adriano rimane tutta la vita legato ad un aggettivo: sovversivo ( derivato dal latino subversus, participio passato di subvertĕre, che tende a sovvertire l’ordine costituito. Per estensione, che sovverte la tradizione, che tende a rivoluzionare e a sconvolgere uno stato di cose esistente ), come viene classificato dalla questura di Aosta durante il ventennio fascista e ovviamente riferito in senso politica. 
Nel primo dopoguerra, dopo aver partecipato al conflitto come volontario e conseguito brillantemente una laurea in Ingegneria al Politecnico di Torino,  con l'aspirazione al giornalismo e permeato da idee liberali, si avvicina  a Piero Gobetti e stringe amicizia con Carlo Rosselli. Nel 1925 il padre lo invia per sei mesi negli Stati Uniti, dove Adriano rimane affascinato e incuriosito dai progressi industriali della società americana, per quanto però ispirata in maniera totale al concetto espresso da Frederick Taylor, fondato sulla “divisione delle mansioni” e sul diffuso sfruttamento dei lavoratori basato sul lavoro “ a cottimo”. In una lettera al padre, Adriano esprime un giudizio negativo e lapidario “... in tutta la vita americana vi è uno strapotere finanziario...qui il dollaro è davvero il Dio...”. 

Seppur fortemente critico sui metodi produttivi, Adriano coglie nella moderna, innovativa attività d'impresa, l'opportunità di realizzare un miglioramento globale della vita individuale e collettiva, seguendo una via alternativa al brutale capitalismo. Nel dicembre 1932, quando subentra al padre in qualità di direttore generale nella gestione dell'impresa di famiglia, già allora leader nazionale nella costruzione di macchine per scrivere, inizia da subito una precisa strategia di sviluppo, tenacemente avversa al fine esclusivo del profitto. La sua prima realizzazione pratica si traduce nella creazione di un Centro di Formazione Meccanica, dove i giovani allievi, figli di contadini ed operai del luogo, oltre ad imparare i rudimenti della meccanica, vengono eruditi riguardo alla cultura sindacale e alla politica, nonché alle discipline artistiche, al disegno ed alla storia dell'arte e, nel 1936, inaugura la nuova sede aziendale ad Ivrea. E’ una struttura di acciaio e vetro progettatta dagli architetti Figini e Pollini, una “fabbrica di luce” in netto contrasto con le costruzioni “imperiali” del ventennio. La visione di Adriano Olivetti si sviluppa in una sorta di “orizzonte aperto”, in grado di fornire gli strumenti di emancipazione sociale oltre alla formazione professionale indispensabile alla natura del prodotto industriale. Nel suo percorso “di luce” si circonda dei migliori intellettuali del tempo, sviluppando servizi sociali per l'infanzia, assistenza sanitaria e luoghi di aggregazione sportiva e culturale a beneficio delle maestranze e delle loro famiglie.

Superato l'orrore del secondo conflitto mondiale e i rischi connessi alla mai sopita militanza antifascista, Adriano Olivetti vede nel futuro costituzionale della neonata Repubblica Italiana l'opportunità di accelerare ulteriormente la sua visione di imprenditore sociale. In piena guerra fredda, deluso dalla gestione attuata dalla Democrazia Cristiana e da Confindustria degli aiuti economici del Piano Marshall, intrattiene contatti politici di rilievo negli Stati Uniti, cercando, forse ingenuamente, di convincere la politica americana sulla necessità di avviare un percorso di fiducia verso una svolta politica di centrosinistra in Italia. Questo non fa che attirare verso di lui le attenzioni della CIA, che inizia a considerarlo un “sovversivo”, come lo era ai tempi del ventennio. In effetti, per l'establishment americano, il concetto di impresa nella visione olivettiana e’ sinonimo di sovversione. Olivetti ipotizza che la proprietà delle grandi e medie imprese debba passare dal capitalismo privato ad una sorta di “Fondazione” che ponga l'interesse aziendale nelle mani di manager accanto ai rappresentanti dei lavoratori, coinvolgendo i rappresentanti locali e le università del territorio, al fine ultimo di creare ricchezza e benessere e lavoro per le comunità.
Emblematico rimane l'episodio del 1953. A seguito di una contrazione delle vendite e di una crisi di sovrapproduzione, due manager della sua azienda propongono come rimedio il licenziamento di 500 operai. Olivetti licenzia immediatamente i due dirigenti, assumendo 700 venditori della rete commerciale che, con tenacia e intraprendenza, sanano in breve la crisi momentanea di vendite.
Nel 1958 la Olivetti fornisce lavoro ad oltre 14.000 persone, con 17 consociate sparse per il mondo con una quota di esportazione pari al 60% del fatturato totale, grazie a un prodotto di qualità e design di pregio rappresentato da macchine da scrivere come la “Lettera 22” e dalla famosa “Divisumma 26”, considerarta la più veloce calcolatrice meccanica del mondo!
Per la selezione dei dipendenti, lavorano in Olivetti personaggi come Tiziano Terzani e Furio Colombo, mentre a guida degli psicologi aziendali viene posto Cerare Musatti; nel design dei prodotti ricordiamo Ettore Sotsass, creatore delle linee calcolatrici Summa-19, Divisumma 26 e Logos 27.
Nel 1960 il sogno si interrompe. Olivetti, dopo aver acquisito la concorrente americana “Underwood”, si trova con l’ azienda in forte crisi di liquidità e il 27 febbraio, mentre e’ in viaggio in uno scompartimento del direttissimo Milano-Losanna, dove si sta recando per ottenere credito presso le banche elvetiche, muore stroncato da un infarto a soli 59 anni.
Le redini dell'azienda passano al figlio Roberto, che per i successivi cinque anni cerca di continuare il sogno di “luce” paterno. Sono cinque anni di grandi speranze : la “società del sapere” di Adriano aveva formato tecnici di primissimo ordine, che avevano permesso di creare all'interno dell’azienda il reparto ricerca e sviluppo informatico a caccia di un futuro ancora da inventare che andasse oltre le macchine allora in produzione. Con questa spinta ideale nel 1962  Roberto Olivetti incarica lo staff dell' Ingegner Pier Giorgio Perotto di dare vita al progetto “Programma 101”, un tentativo rivoluzionario di dare forma dalla “pietra grezza” per consegnare la tecnologia del futuro a disposizione di tutti.
Proprio in prossimità del traguardo, l'Olivetti entra in un’altra grave crisi; Roberto Olivetti viene esautorato dalla dirigenza aziendale ad opera di Enrico Cuccia, sovrano assoluto di Mediobanca, e dall'allora presidente della FIAT Vittorio Valletta. Da anni Cuccia considerava la filosofia olivettiana una mera utopia, arrivando un giorno a dire ad Adriano: “ ...mi dicono che lei va a vedere le fabbriche. Ma non va bene, sa, perchè poi ci si affeziona... “ Cuccia e Valletta sono due conservatori di mentalità senza esagerazioni ottocentesca, privi di ogni conoscenza delle opportunità di nuove tecnologie. Inviano ad Ivrea Gian Luigi Gabetti, legato alla famiglia Agnelli, a gestire l'impresa, e il suo primo atto aziendale  sarà quello di smantellare il reparto informatico vendendo i progetti all'americana General Electric. In seguito al successo dell'ormai operativo Programma 101, il brevetto viene ceduto alla HP al prezzo di 900.000 dollari, brevetto che Perotto aveva ceduto in precedenza all'Olivetti per la simbolica cifra di 1 dollaro!
La storia seguente del sogno di Adriano è quanto mai triste. Il 12 marzo 2003 il titolo Olivetti viene cancellato dalla borsa e cade nell'oblio. Una lunga serie di “finanzieri creativi” ne cancelleranno ogni traccia, a partire da Carlo De Benedetti che, arrivato in azienda nel 1978, come primo atto chiude le biblioteche aziendali e le rassegne stampa ad uso dei dipendenti. Nella mensa aziendale progettata da Ignazio Gardella non saranno più rappresentate opere del Piccolo Teatro di Milano, non verranno più a parlare personaggi come Pasolini, Moravia, DeSica, Gaetano Salvemini, ma tutto si trasformerà in anonimi Call Center. Persino la  rivoluzione della telefonia, che vede nascere Infostrada ed Omnitel, saranno sacrificate da Roberto Colannino nella sua personale scalata alla Telecom.  Commentando la definitiva trasformazione dello stabilimento “di luce” voluto da Adriano nel 1936 in Call Center, Colannino espresse persino il pensiero che fosse la “naturale” continuazione dell'esperienza di Olivetti. Sic Transit Gloria Mundi!

Autore: Giorgio Viola 60borea@gmail.com

 
   
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