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THE LONDON ROCK AND ROLL SHOW



 

di Corrado Barbieri

 


1972, la decade trascorsa ha visto nascere una moltitudine di nuovi artisti e di nuovi stili, basta pensare al fenomeno Beatles, Rolling Stones, al folk negli States. Tutto cio' ha contribuito al declino del classico Rock'n'Roll, che ormai vede i suoi artisti esibirsi in spettacoli definibili di revival.
Ma ecco Wembley, gigantesco stadio di Londra, ospitare in estate, strapieno, quasi tutti i grandi divi di quella musica. Un concerto lungo una giornata, dove i giovani non solo si recano per ascoltare la loro musica, ma per poter vedere gli artisti stessi, e magari poi prodigarsi in balli scatenati proprio davanti a loro, in pieno concerto.
Nella prima parte della manifestazione suonano complessi rock e artisti inglesi, poi giungono i grossi calibri americani, primo Bo Diddley, che con l'ossessionante e trascinante ritmo della sua originale chitarra quadrata invita a balli scatenati una schiera di giovani del pubblico.

Segue Jerry Lee Lewis, quello che lo scrivente giudica il numero uno per forza, sound e varieta' di stili (puo' essere un grandissimo rocker, come affrontare brani country e romantici). Ma la delusione e' in agguato. Jerry Lee non e' il solito, e' opaco, pare che si sforzi terribilmente a mettere il moto il suo swing trascinatore, cosa che di solito avviene in pochi minuti. La stessa sua espressione manca di vivacita' e il consueto humor e' assente. Probabilmente ha assunto qualcosa che lo ha rallentato, ma soprattutto estraniato dal pubblico.
Pensa a catalizzare il pubblico l'eterno Bill Haley: sempre appesantito, sempre con lo stesso look, sempre con il brano simbolo di tutto il rock'n'roll, quel "Rock around the clock" che apri' quella prima entusiastica stagione nell'ormai lontano 1954 e che esegue in ogni dove per il mondo, da buon "papa'" di questo genere musicale.
Il suo aspetto pacioso lo ha fatto sempre stridere con gli altri personaggi, eppure mai si restera' insensibili alla sua interpretazione, per quanto standardizzata anche nelle movenze, di quel classico.

PiĆ¹ incisiva e movimentata la performance di Little Richard, anche se non si riesce a capire se l' acustica non permette di ascoltare bene la band o se questa va un po' per conto suo. Lui suona come sempre il piano in piedi ed esegue cinque dei suoi pezzi classici, durante l'ultimo dei quali sale a cantarlo in piedi sul piano, alla Jerry Lee dei tempi d'oro, mossa che suscita stranamente la disapprovazione del pubblico.
Ma il vero protagonista della serata e' Chuck Berry, in una performance di ben otto brani, alcuni di notevole durata, che rappresentano quanto di meglio abbia eseguito nella sua lunghissima carriera. Chuck e' davvero in una sera magica, carico oltre il suo gia' alto livello abituale e quando esegue "Oh Carol" il pubblico esulta: uno swing travolgente, con punte straordinarie. Si capisce esattamente come avesse partecipato, unica stella del rock'n'roll, allo storico festival del jazz di Newport del 1958, brillando piu' di molti jazzisti e facendo accettare quella musica a molti perbenisti che prima se ne scandalizzavano.





 

 
   
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