Menu' Autori Contemporanei
 

LA FELICITA’ DURA DUE GIORNI...



Di Duccio Castelli




Il Natale eran due  giorni ed una notte di immensa felicità, per me bambino.  Per la cronaca, non era,  nelle nostre allargate famiglie, un Natale cristiano. Ma una festa. Che per me era magica e  girava attorno a Babbo Natale. Nella mia mente attratta dal  mistero e dal carisma, questo bianco vecchio allegro era entità amica; quando seppi che non esisteva, sconsolatamente piansi e ne soffrii per molti giorni, risentito per il tradimento dei grandi. Anche se in fondo anche dopo,  non credetti mai davvero che non esistesse. 
Il profumo dell'abete era dolcissimo e si insinuava per i meandri delle mie innumerevoli narici e mi giungeva al cuore.  E mentre mi riabbracciava amico dopo un anno di assenza, il commovente calore di casa mi inebriava e inebetiva. Era il fermarmi che mi dava gioia, l'ascoltare i sensi ed i ricordi, il godere della vicinanza di chi amavo e di chi mi amava.  Ed il silenzio, rotto da gridolini di gioie e dallo sfregugliare delle carte dei regali, promesse immense che finivano sempre in oggetti che scomparivano. Di quei  Natali  pieni e fantastici non restava mai nulla (tranne il trombone, che mi ha accompagnato per tutta la vita).  Le candeline erano di cera e bruciavano di vero fuoco, allora. Si rischiava l'incendio ma era parte del gioco ed il gioco a quei tempi era vero. Tutto era vero, non elettrico ne' tantomeno elettronico, sentimenti inclusi.  Al circo gli acrobati andavano al trapezio senza rete. Le corse di automobilismo erano per gladiatori,  i minatori si spegnevano come candele e gli eroi morivano senza neppure fiatare.  C'erano uomini e quaquaraquà, con tutti gli altri figuri di mezzo, come scriveva Sciascia. 
Al pomeriggio della vigilia ci si preparava per andare al Natale della Nonna. Che era bellissimo. Lì c'erano gli zii ed i cugini e noi bambini aspettavamo fuori dalla sala. Le cui porte finestre avevano vetri che lasciavano solo intravedere, luci, ombre, candeline che si accendevano. Poi i grandi dicevano: "E' arrivato Babbo Natale!" e noi entravamo rispettosi e cauti, grondanti felicità e ci appariva l'albero grandioso, acceso e con tutti i pacchi sotto. Poi la serata andava avanti e il resto era secondario, ma affettuoso. 
La notte la passavo ovviamente a casa mia, ma dormendo nella stanza di mia mamma perchè doveva venire Babbo Natale nella mia, dove c'era l'albero. La magia di Natale in quella casa, la mia casa, era per me impagabile.  
Poi correvamo tutti, in una indigestione sensoriale fantastica, al Natale da mio fratello, dove coronavo il terzo bottino di giocattoli e festeggiamenti. 
E alla sera del 25 si spegneva la felicità. 

 
   
  scrivi a info@corradobarbieri.com