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LA SOTTILE LINEA BLU : PIERO CALAMAI, UOMO DI MARE E GENTILUOMO



Di Giorgio Viola

 


L’Italia che si affaccia alla seconda metà del XX secolo appare un luogo di grandi speranze. Ogni aspetto della vita sociale attraversa un periodo di profonde trasformazioni e riscatto civile, dopo le distruzioni e le sofferenze causate dal grande conflitto mondiale. Uno dei settori industriali in maggior fermento è rappresentato dalla cantieristica navale. Infatti i collegamenti commerciali con il continente americano acquisiscono una valenza prioritaria per la rinascita economica dell’Europa e, in tale contesto, la lungimirante politica dei primi governi democratici dedica una particolare attenzione allo sviluppo di nuove costruzioni navali. Mettendo a frutto competenze ed esperienze mai disperse, si progettano e si realizzano navi tecnologicamente all’avanguardia, nel rispetto della grande tradizione cantieristica dell’anteguerra.
Al vertice di questo rinascimento tecnologico, alle 10:30 del 16 giugno 1951, lascia lo scalo del cantiere genovese Ansaldo di Sestri Ponente lo scafo di un nuovo e meraviglioso transatlantico: il suo nome è Andrea Doria, in onore del grande ammiraglio genovese del XVI secolo.         
In fase di realizzazione, man mano che gli allestimenti prendono vita, la nave si appresta a divenire un’opera di grande pregio e raffinato design. Ogni particolare è concepito alla luce di quella originale, innata capacità manifatturiera ed artistica che ancora oggi è definita come “Italian Style”, una vocazione alla sobria eleganza particolarmente apprezzata e richiesta dal ricco “nuovo mondo” ancora povero di storia e di arte.
Quando l’Andrea Doria entra in servizio attivo sulla prestigiosa linea Genova - New York, i collegamenti aerei di massa sono ben lungi dall’esser realizzati su vasta scala e il viaggio di trasferimento da un continente all’altro è ancora un’esperienza piena di fascino. D’altra parte sono ormai trascorsi gli anni dei viaggi disperati in terza classe dell’emigrazione di inizio secolo, in contrasto stridente con i lussi delle prime classi, riservati ad aristocratici e ricchi borghesi.
Il nuovo corso democratico del mondo occidentale, si traduce nella possibilità di viaggiare in modo dignitoso per tutti i passeggeri. Se le eccellenze di un servizio lussuoso ed accurato rimangono appannaggio della prima classe, l’ottimo servizio della classe cabina si armonizza degnamente con la ex terza classe che, secondo i nuovi standard di confort, si definisce ora classe turistica. Novità assoluta, poi, è il moderno sistema di aria condizionata, che è presente in tutte le zone di soggiorno della nave, incluse le aree destinate al riposo dell’equipaggio.
Il servizio offerto a bordo dell’ammiraglia della società “Italia” riscuote un successo di clientela immediato. Rispetto ai transatlantici britannici ed americani, veri e propri “levrieri del mare”, la traversata sull’Andrea Doria dura un giorno in più e, in un’ era in cui la fretta e il risparmio di tempo non sono ancora di prioritario interesse, questo giorno in più rappresenta un piacevole diversivo, un momento di cure ed attenzioni senza pari.
Il 17 luglio 1956, l’Andrea Doria salpa dal molo della Stazione Marittima di Genova, per compiere la sua 101a traversata atlantica. Alla guida di un equipaggio competente e professionale è il Comandante Piero Calamai, universalmente riconosciuto e stimato come ufficiale di grande esperienza e profondo carisma.
Nato a Genova il giorno di Natale del 1897 da una famiglia da sempre legata al mare, compie gli studi da Capitano di lungo corso presso il prestigioso Istituto Nautico S. Giorgio del capoluogo ligure.
Nella sua lunga e intensa carriera sara’ ufficiale su navi mercantili e militari, meritando una Medaglia d’Argento al Valore Civile per il coraggioso salvataggio di un passeggero caduto in mare dal piroscafo Conte Grande e nella seconda guerra mondiale ricevendo la Croce al Valor Militare per un salvataggio di due marinai della corazzata Caio Duilio durante l’attacco inglese a Taranto.
Nel dopoguerra, Piero Calamai riprende la sua carriera nella Società “Italia”, prestando servizio al comando del Conte Grande e del Saturnia, fino a giungere al comando più prestigioso a coronamento di una brillante carriera in mare.
Alle 11 precise di quel 17 luglio 1956, nella tradizionale cornice allegorica di centinaia di stelle filanti multicolori, l’Andrea Doria lascia gli ormeggi. Dopo aver compiuto uno scalo a Cannes e a Napoli, il pomeriggio del 20 luglio la moderna turbonave italiana supera Gibilterra ed affronta l’Atlantico in direzione ovest dirigendosi verso gli Stati Uniti con a bordo 1.706 fra passeggeri ed equipaggio.
La traversata è piacevole e il sole splende rendendo il viaggio ancora più gradevole. I passeggeri di giorno si godono le numerose attività ricreative offerte sui ponti e la sera si immergono nelle sofisticate atmosfere di questo gioiello del mare.
Hanno contribuito a renderlo tale le più prestigiose firme del design navale, come Giovanni Zoncada, Gustavo Pulitzer e Matteo Longoni, coordinate dal famoso architetto Gio Ponti, che hanno creato a bordo della nuova ammiraglia della flotta di stato italiana un armonioso insieme d’interni. Particolarmente degno di nota è lo splendido murale su tela, lungo quasi 50 metri, che adorna il salone di prima classe, opera di Salvatore Fiume. L’opera evoca nel suo sviluppo i migliori capolavori di Piero della Francesca, Masaccio e Paolo Uccello, in una sorta di immaginario cammino attraverso il Rinascimento italiano, ora rinato e confluito nel moderno “Made in Italy”. A completare il quadro d’insieme, opere pittoriche di Felicita Frai e Piero Zuffi, ceramiche di Guido Gambone e una statua in bronzo che raffigura l’ammiraglio Doria, opera dello scultore Giovanni Paganin posta nella sala di soggiorno di prima classe.
E’in questa magica atmosfera che l’Andrea Doria, la sera del 25 luglio, ottavo giorno di navigazione, si avvicina alla piattaforma continentale americana. L’approdo alla sua destinazione finale e’ il porto di New York previsto all’alba del giorno seguente.
Dal primo pomeriggio di quel 25 luglio, sulla rotta del transatlantico italiano è comparsa la nebbia, un fenomeno piuttosto frequente in quelle zone, a causa dell’incontro tra la temperata corrente del golfo e le fredde acque atlantiche. Il comandante Calamai come sua consuetudine in questi casi, si è subito recato in plancia di comando e non si è più allontanato. Ha già anche predisposto le necessarie misure di sicurezza: porte stagne chiuse, riduzione della pressione alle caldaie con conseguente minor velocità di crociera, segnali acustici regolamentari ed un servizio rinforzato di vedette, una delle quali anche all’estrema prora, in prossimità del telefono di manovra.
Alle 12 di quel 25 luglio, e’ salpato dal “Pier 97”del porto di New York il transatlantico svedese Stockholm, al comando del capitano Harry Gunnar Nordenson, in rotta verso il nord Europa con 534 passeggeri e 220 uomini di equipaggio. Alle 20:30 Nordenson lascia la  condotta della navigazione nelle mani del Terzo Ufficiale, Johan Ernst Carstens Johannsen, solo in plancia con il timoniere Johannson. Carstens, che è alla sua quarta traversata atlantica, riceve dal comandante solo alcune disposizioni: avvisare in prossimità della nave faro dell’Isola di Nantucket, divieto di incrociare altre navi a meno di un miglio ed avvertire in caso di comparsa di nebbia.
Alle 22:04 Carstens, che non ravvisa nebbia, fa il “punto nave” e si accorge che la rotta di navigazione è più a nord rispetto a quella prevista, imputando l’errore di posizione alle forti correnti marine di quella zona di mare. Alle 22:20, il comandante dell’Andrea Doria, giunto in prossimità della nave faro di Nantucket, nella foschia ne percepisce il “muggito” ed ordina al Secondo Ufficiale in servizio, Curzio Franchini di governare per rotta 269 verso il battello fanale Ambrose, che dirige le navi nel percorso di traffico consigliato, alle foci del fiume Hudson, verso la baia di New York.
Alle 22.40, a bordo dello Stockholm, il timoniere Peder Larsen prende il posto del collega Johnannson per il suo turno si servizio.
Alle 22:45, a bordo del Doria, che procede a 21 nodi, Franchini, coadiuvato dal Terzo Ufficiale di coperta Eugenio Giannini, vede lo Stockholm sullo schermo del radar in posizione  17 miglia, 4° a dritta dalla prora su rotta parallela e contraria a 1,3 miglia. Nel frattempo sullo Stockholm, Carstens, che non è assistito da nessun altro ufficiale in plancia, si rende conto che nonostante la correzione di rotta, la nave si trova ancora troppo a nord, fattore da lui attribuito all’imperizia del timoniere Larsen. Ritiene comunque di incrociare il Doria, già visibile sul suo radar, a sinistra.
Alle 23:05 il radar del Doria vede lo Stockholm a 15° a dritta ed a 4 miglia di distanza. Calamai, per prudenza, dà ordine di accostare di 4° a sinistra in modo da rendere più visibile la luce verde di destra del Doria alla nave incrociante.
Nello stesso momento, Carstens, probabilmente sotto pressione per gli aggiustamenti di rotta eseguiti da solo nell’attigua sala nautica, per la scarsa esperienza personale e per la sfiducia verso la navigazione imprecisa del timoniere Larsen, compie un errore dalle conseguenze fatali. Certo di trovarsi a sinistra del Doria, in base ai rilevamenti del suo radar ordina a Larsen una decisa accostata a dritta di ben 22°, con l’intento di distanziarsi in sicurezza nel prossimo incrocio con l’Andrea Doria. Nella manovra omette l’obbligo della segnalazione acustica del fischio, prescritta dall’ art.29 del regolamento per la prevenzione degli abbordi in mare. Sono le 23:07.
Intanto sul Doria Calamai e Giannini si sono portati dalla plancia sull’aletta di dritta e con il binocolo scrutano nella foschia chiedendosi il motivo per cui non si sentono i segnali acustici e non si intravedono le luci di navigazione dello Stockholm, che hanno una portata di 5 miglia. Giannini corre al radar per un controllo di posizione e quando torna in aletta  finalmente riesce a scorgere le luci della nave. A quel punto si accorge con raccapriccio che la bianca sagoma del transatlantico svedese accosta rapidamente in rotta di collisione e grida “ ci viene addosso! “. Calamai ordina tutta barra a sinistra a macchine invariate, mentre Franchini esegue i due fischi regolamentari. Carstens vede di colpo le luci del Doria e sente i fischi della manovra. In fretta ordina una virata tutto a dritta per sfuggire all’imminente impatto.
Da quel momento, servono 100 secondi per portare a termine una manovra di scampo, 100 secondi durante i quali due mondi di spensierata vita sul mare stanno ancora ballando, riposando o conversando amabilmente dinnanzi a un cocktail. Da un finestrino di plancia Giannini urla “ non passa!! “. Carstens esita, poi ordina macchine indietro tutta, basterebbero da quell’ordine poco più di 300 metri per arrestare la nave ma sono rimasti solo 10 secondi di tempo per non sconvolgere quei due piccoli mondi e quel tratto di mare immerso nella sua tranquillità...ne basterebbero solo altri 10 di secondi, ma ora il cronometro del destino si è fermato...sono le 23:11.
Piero Calamai, reggendosi alla balaustra dell’aletta di dritta, osserva inorridito la bianca e affilata prua artica dello Stockholm infrangersi con devastante fragore  nel ventre della sua nave, lacerandola per 12 metri, appena a poppa della plancia di comando, proprio all’altezza delle cabine di prima classe. Siamo a 19 miglia a ovest della nave faro di Nantucket, 40 miglia ad est di Boston. Nello schianto o nel successivo allagamento dei compartimenti colpiti, muoiono 43 persone sull’Andrea Doria e 4 sullo Stockholm.
La collisione con la prua rinforzata della nave svedese provoca nel Doria una falla 4 volte maggiore della falla “standard” della normativa SOLAS 48, cioè superiore ai due compartimenti stagni stabiliti come limite alla galleggiabilità di progetto, ritenendosi di tipo continuo per effetto delle ulteriori falle provocate dal successivo sfregamento dello scafo dello Stockholm lungo la fiancata di dritta, fino alla poppa dell’Andrea Doria.
Calamai, in base alla sua esperienza di mare, capisce di avere solo due opzioni; può cercare di portare la nave verso i bassi fondali del Nantucket Sound, nella speranza di incagliare il transatlantico in una secca, con l’utilizzo di un motore ancora efficiente, ma è perfettamente consapevole che una simile manovra, da compiersi con la nave già in sbandamento a dritta ed in precarie condizioni di navigabilità, potrebbe causare ulteriori perdite nei  passeggeri, a causa del prevedibile panico a bordo. La seconda opzione è quella di sacrificare il destino della sua nave e predisporre da subito ogni azione necessaria  per porre in salvo i passeggeri e il suo equipaggio. Decide perciò in tal senso, spinto dal suo spirito di uomo coraggioso e comandante responsabile.
Dalla plancia il comandante dirige con razionalità e competenza tutte le operazioni di soccorso, coadiuvato dal suo secondo in comando, il capitano Osvaldo Magagnini e dai suoi ufficiali. Immediatamente gli ufficiali Guido Badano e Curzio Franchini calcolano un preciso “punto nave”, indispensabile per le richieste di soccorso.
Alle 23:21 Calamai ordina al radiotelegrafista Carlo Bussi la trasmissione del messaggio di SOS.
Alle 23:43 la nave Ile de France risponde all’SOS e conferma l’ arrivo in zona per le 01:45. Il transatlantico francese, partito da New York il 25 mattina con 940 passeggeri, è in rotta per l’Europa, destinazione Le Havre.
Il Secondo Ufficiale dell’Andrea Doria, Guido Badano, diffonde con l’interfono l’ordine ai passeggeri di recarsi, ordinatamente e con calma, ai punti di riunione con le cinture di salvataggio. Su ordine di Calamai, si cerca di predisporre la messa a mare delle scialuppe. La nave però è già sbandata a dritta di 19° e questo impedisce di eseguire la manovra di messa a mare delle scialuppe sul lato sinistro, rendendo inevitabile l’uso delle sole scialuppe di dritta.
Alle 00:36 arriva in zona la nave frigo Cape Ann, al comando del capitano Joseph Boyd che mette a disposizione le sue due scialuppe. Allo stesso tempo, stabilizzati i danni di bordo, il comandante dello Stockholm mette a disposizione dell’Andrea Doria le sue 12 imbarcazioni di salvataggio. Sul lato destro del Doria, il Primo Ufficiale Carlo Kirn inizia a predisporre le prime scialuppe, privilegiando lo sbarco di donne e bambini. Intanto l’equipaggio di macchina dell’Andrea Doria mantiene in efficienza gli impianti di energia elettrica, la rete di trasmissione degli ordini all’equipaggio, le luci di emergenza, le pompe di esaurimento e la stazione radio telegrafica. Un generatore diesel d’emergenza sul ponte A garantisce l’energia elettrica e l’illuminazione in tutti i settori operativi della nave.
Alcuni elementi dell’equipaggio hanno un comportamento esemplare, a tratti di grande eroismo. Fra i tanti vale la pena citare la condotta del secondo elettricista Giordano Ban, addetto alla centrale elettrica, che rimane chiuso al pannello di controllo, nel ventre della nave, fino all’ultimo, per mantenere efficienti gli impianti di illuminazione e i servizi essenziali. Ban sarà poi uno degli ultimi ad abbandonare il locale macchine. Altro esempio di dedizione e altruismo è rappresentato dall’instancabile opera del cameriere Giovanni Rovelli, che si prodiga fino alla fine nel tentativo di salvataggio delle passeggere rimaste imprigionate nei rottami delle cabine 56 e 58 a seguito dello schianto.
Finalmente, all’01:18, l’Ile de France arriva sul luogo dell’incidente, in anticipo sul tempo stimato. Il suo capitano, Barone Raoul De Beaudèan, accende tutte le luci e accosta in prossimità del Doria per tranquillizzarne i passeggeri.
Alle 02:21 il Cape Ann accoglie i primi superstiti a bordo.
Alle 02:50 tutto il personale di macchina riceve l’ordine di evacuazione: ogni possibile manovra per prolungare la “vita” dell’Andrea Doria è già stata compiuta. 
Durante le fasi del trasbordo dei passeggeri sull’Ile de France, Calamai incarica Badano di portare un messaggio a Genova “ ...dica alla mia famiglia che ho fatto tutto quello che dovevo fare...”. Guido Badano, indicando la nave francese, tenta di sdrammatizzare “ comandante, lo farà  lei quando torneremo a Genova ! “
Su ordine di Calamai, si telegrafa alla società armatrice “Italia” a Genova: ore 03:25 GMT – INVESTITI IN FOSCHIA 20 MIGLIA DA NANTUCKET DA PIROSCAFO SVEDESE STOCKHOLM – PASSEGGERI TRASBORDATI SU PIROSCAFI SOCCORRITORI – NAVE IN PERICOLO – CALAMAI
Alle 04:57 l’Ile de France, dopo aver raccolto 576 passeggeri e 177 uomini di equipaggio del Doria, chiede il permesso di far rotta verso New York. Dalla plancia, Eugenio Giannini segnala il “Grazie” da parte di Calamai. De Beaudèan dirige la sua nave e le fa compiere un giro attorno all’Andrea Doria a moto lento, con la bandiera di stato a mezz’asta e suoni di sirena. Uno struggente addio alla splendida nave ferita. Il transatlantico francese arriverà a New York alle 18 del giorno stesso.
E’ un alba livida quella del 26 luglio 1956. Il mare è calmo, Piero Calamai e 11 uomini del suo equipaggio sono ancora a bordo, il comandante è intenzionato a mantenere il possesso della nave  per timore che, una volta abbandonata, l’Andrea Doria diventi preda di altri in base alla legge del mare.
Il capitano dispone che tutti gli ufficiali del suo stato maggiore, per ordine di grado, si portino sull’ultima scialuppa a ridosso del ponte di comando. A tal proposito Giannini ricorda “ Calamai, sporgendosi dal ponte lance, appoggiato alla ringhiera, ci disse di rimanere in zona...mentre lui rimaneva a bordo in attesa dei rimorchiatori di soccorso stimati in arrivo “. A queste parole il comandante in seconda Osvaldo Magagnini e gli altri ufficiali reagiscono con fermezza, facendo atto di ritornare a bordo. La reazione dei suoi uomini convince finalmente Calamai a scendere sulla scialuppa, ma nel suo cuore qualcosa si ferma. E’un uomo distrutto. Sono le 05:30, l’Andrea Doria viene abbandonata.
Alle 07:33 l’USS W. Thomas, il trasporto truppe statunitense al comando delle operazioni di soccorso, comunica “ Doria inclinato di 45° a dritta “.
Alle 08:43 la vedetta USS Evergreen dell’US COAST GUARD prende il comando delle operazioni.
L’Andrea Doria resiste ben 11 ore prima di affondare, prova tangibile della qualità del progetto originale e dell’abnegazione dell’equipaggio. Addirittura la nave affonda con il circuito d’emergenza e la pompa SOS di sinistra ancora efficienti.
Alle 10:08 l’USS Evergreen comunica “ Andrea Doria affondata in 225 piedi (75 metri) d’acqua. Posizione 40°29’4’’N 69°50’5’’W.
Il Secondo Ufficiale di macchina Giovanni Cordera ricorda “ alcuni di noi fecero il saluto militare all’indirizzo della nave che scompariva dalla vista “.
Guido Badano ricorda “ è come veder morire un amico...giovane, bello, pulito...è stato molto triste “, e annota su di un brandello di busta intestata “Italia”: ore 10.15 a fondo, mentre sul retro della busta segna gli ultimi rilevamenti LORAN.
L’aletta sinistra di poppa è l’ultimo particolare dell’Andrea Doria che riflette la luce di un pallido sole, prima di scivolare per sempre sul fondo del mare che la prua ha già toccato.
Lo Stockholm nonostante abbia la prua completamente squarciata, riesce a raggiungere con i propri mezzi il porto di New York a mezzogiorno del 27 luglio, recando a bordo 311 passeggeri e 234 membri dell’equipaggio dell’Andrea Doria.
Alle 11:00 Calamai, sofferente per una tromboflebite ad una gamba, si imbarca accompagnato dai suoi ufficiali sul cacciatorpediniere USS Edward Allen, giungendo poi a New York alle 0:30 del 27 luglio.
Appena giunti a New York, i naufraghi sono accolti dalla stampa di tutto il mondo e dalle troupe televisive, per i primi servizi televisivi di Ruggero Orlando e Walter Cronkite. Immediatamente iniziano le schermaglie legali patrocinate da studi specializzati in diritto marittimo, nell’intento di definire cause e responsabilità a tutela degli interessi commerciali delle due compagnie armatoriali, di fatto assicurate entrambe presso i Lloyds di Londra.
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Il Ministero della Marina Mercantile italiana nomina, con un apposito decreto, una commissione speciale d’inchiesta formale presieduta dall’Ammiraglio Candido Bigliardi. Intanto, dopo varie ispezioni dei periti di parte, il 19 settembre 1956, presso la Corte Penale di New York, ha inizio il dibattimento dell’inchiesta preliminare, anticamera legale del processo vero e proprio.
Fin dalle prime fasi del dibattimento, la tesi italiana e quella svedese appaiono diametralmente opposte, sebbene giorno dopo giorno la versione italiana acquisti sempre più credito. Gli ufficiali italiani sostengono che lo Stockholm stesse incrociando a dritta, mentre il Terzo Ufficiale dello Stockholm, Carstens, dichiara il falso quando, ancora oggi, afferma che l’Andrea Doria era alla sua sinistra.
In realtà, di quella notte è ormai stato ipotizzato che la condotta imprecisa del timoniere Larsen abbia tratto in inganno l’ufficiale svedese. Inoltre è stato appurato che il radar dello Stockholm non risultava regolato nella misura della reale distanza dall’Andrea Doria, ma tarato sulla banda delle 5 miglia invece delle reali 15 miglia. Quando Carstens, credendosi a 6 miglia dal Doria, ordinava al timoniere Larsen di accostare a dritta di 22°, si trovava in prossimità dall’Andrea Doria...quella che ritiene una sicura e decisa rotta di scampo è in realtà  una fatale rotta di collisione!
Lo stesso comandante Nordenson, il 24 ottobre  1956, durante la sua prima deposizione in aula non riesce a rendere disponibile il brogliaccio degli ordini per l’ufficiale di guardia. Il brogliaccio è andato perduto anche sul Doria, ma, in questo caso, si tratta di una perdita comprensibile nella concitazione del naufragio. Stranamente, risulta misteriosamente cancellato anche il tracciato del “plotting” del radar dello Stockholm. Come se questo non bastasse, Nordenson si dimostra reticente e confuso durante la ricostruzione dei fatti accaduti, giungendo ad accusare un malore in aula.
Proprio mentre si fa strada tra gli ufficiali italiani e il comandante Calamai la fondata speranza che si giunga ad un onesto riscontro dei fatti accaduti, nel gennaio 1957, in pieno dibattimento, l’inchiesta sulle responsabilità viene bruscamente “archiviata” per accordi “sommersi” stretti tra la Società “Italia”, la “Swedish Home Lines” e i vertici industriali dell’Ansaldo, che, presso i cantieri navali di Sestri Ponente, ha da poco varato la nuova ammiraglia della flotta svedese, la Gripsholm. Infatti, il giorno 21 dello stesso mese, a Londra, le parti si sono accordate ufficialmente con un testo destinato a rimanere segreto, rinunciando ai rispettivi reclami di risarcimento ed impegnandosi al contempo ad intraprendere un rapido iter di indennizzo delle parti civili. Tale accordo sancisce la formale rinuncia delle parti a giungere al processo.
Il comandante Nordenson torna in patria accolto come un eroe. Nel giro di breve tempo gli viene affidato il comando della nuova ammiraglia Gripsholm, ma Nordenson non potrà ritirare personalmente la nave al termine delle operazioni di allestimento a Genova, per il totale rifiuto delle maestranze italiane a prestare assistenza alla consegna, nei riguardi del capitano svedese!
I vertici della società “Italia”, confermano la loro “solidale fiducia” verso l’operato di Piero Calamai e gli promettono il comando della gemella del Doria, la Cristoforo Colombo. Questo comando non giungerà mai, a fronte di una affrettata quiescenza.
Piero Calamai muore il 7 aprile 1972. La sua ultima struggente frase nel delirio “ i passeggeri sono tutti in salvo? “
Il Capitano Guido Badano ricorda ancora oggi il suo comandante, Piero Calamai, in questo modo “ ufficiale brillante ed ambizioso, fin timido nei rapporti personali, un gentiluomo moderno, semplice ed umano con tutti, preciso, prudente, con un tratto signorile con i passeggeri e soprattutto con un grande senso del dovere “. Attitudine umana e professionale che lo ha reso protagonista, con i suoi uomini, del più brillante salvataggio in mare della storia.
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Per ironia della sorte, John Carrothers, esperto navale americano, ufficiale di macchina e collaboratore dell’US Naval Istitute, dopo la pubblicazione di vari articoli a beneficio di una onesta ricostruzione dei fatti accaduti, basandosi sui dati oggettivi dei grafici di rotta “Sperry”, nel 1972 concluse la sua indagine a completo favore della tesi italiana e, in data 10 marzo 1972, scrisse una lettera indirizzata a Pietro Calamai, lettera che il comandante italiano non aprì mai, le figlie la trovarono ancora sigillata alla sua morte.
La missiva concludeva così “...Stia sicuro comandante Calamai, ci sono molti di noi che sarebbero onorati di servire al suo comando in ogni momento... “
Calamai che, appunto, non aprì mai quella lettera indirizzata a lui, nell’ultima delle rare interviste concesse, al giornalista Silvio Bertoldi disse “ ho sempre amato il mare...ora lo odio, questa tragedia è stata la rovina della mia vita “.
Ancora oggi all’Accademia navale statunitense di King’s Point, dove si formano i quadri della marina mercantile americana, il titolare della cattedra di scienze della navigazione Robert Meurn, compie periodiche esercitazioni con gli allievi ufficiali, all’interno di un sofisticato simulatore di navigazione computerizzato, ricreando ad uso didattico la fedele ricostruzione del tragico scontro di quella notte del luglio 1956, con risultanze indiscutibilmente a favore della tesi italiana, suffragata ormai da un’ ampia bibliografia in materia.
In base alla simulazione “MEURN”, per prestar fede alla dichiarazione di Carstens, si è stabilito che per collidere nei tempi e nella posizione d’impatto, l’Andrea Doria avrebbe dovuto compiere una manovra ad “S” ad una velocità ben oltre le reali possibilità della nave.
La commissione d’inchiesta “Bigliardi” giunse alle stesse conclusioni già nel 1957 ma, per ragioni misteriose, il documento ufficiale è emerso solo recentemente dagli archivi ministeriali.
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In un Paese come l’Italia, da sempre indulgente e comprensivo nei confronti di chi si comporta con viltà e indifferenza, ma giudice implacabile e subito immemore delle figure di valore, ricordare oggi Piero Calamai e chi si prodigò con coraggio quella notte è come progettare il riscatto morale delle generazioni future, non delle presenti, ormai annichilite da decenni di “coltivazione intensiva” dell’ignavia e del ripiegamento verso gli istinti personali più egoisti. In fondo a questa “sottile linea blu” di riscatto, si potrà vedere Piero Calamai, finalmente in pace e di nuovo in armonia  con il mare, che non ha mai smesso di amarlo a dispetto della codardia degli uomini.
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Un particolare e affettuoso ringraziamento al CSLC Guido Badano per la testimonianza diretta dei fatti avvenuti ed il bagaglio di grande competenza pazientemente prestato all’autore e un deferente omaggio alle Signore Marina e Silvia Calamai

Autore: Giorgio Viola borea60@alice.it

 
   
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