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LE MEMORIE DI ADRIANO

- di Marguerite Yourcenar -



di Stefano Bernardinelli



Nelle edizioni italiane delle "Memorie di Adriano" il lettore può trovare, in coda al romanzo, due brevi testi dell'au­trice stessa, un "Taccuino di appunti" e una "Nota", in qual­che modo complementari. Nel "Taccuino" Marguerite Yourcenar ci informa rapidamente sulle fasi principali di composizione del libro: un libro ideato a vent'anni e portato a termine a quarantasette, attraverso lunghe vicende di ripensamenti e di abbandoni. La scrittrice riprende il progetto e lo porta a compimento dopo aver ricevuto negli Stati Uniti una valigia piena di vecchie carte, lasciata in Europa durante la seconda guerra mondiale e contenente le poche pagine scritte negli anni Trenta. Sono poi affrontate questioni di "metodo", ed anche qui abbondano i particolari suggestivi: come porsi in contatto con un uomo da cui ci separano duemila anni, per “costringerlo" a narrare la propria vita? l'analisi sistematica, certo, delle fonti; ma la Yourcenar si spinge oltre: «Un piede nell'erudizione, l'altro nella magia; o più esattamente, e senza metafora, in quella magia simpatica che consiste nel trasferirsi con il pensiero nell'interiorità di un altro» (traduz. di Lidia Storoni Mazzolani).
La "Nota" c'informa puntualmente su quanto c'è di inventato e quanto di ripreso dalle antiche testimonianze (in primo luogo l'opera del greco Cassio Dione e la biografia di Adriano contenuta nella Historia Augusta) in questa vivida rievocazione del II secolo d.C. Si tramanda che Adriano scrisse davvero un'autobiografia. Non ci è pervenuta. Dobbiamo "accontentarci" del sogno dotto di una grande scrittrice. «Mio caro Marco...». All'inizio del romanzo Adriano, ormai vecchio, racconta i progressi della sua malattia, e le rinunce sempre più penose cui si vede costretto. È un graduale ritrarsi dalla vita come dalle «sale spoglie d'un palazzo troppo vasto, che un proprietario decaduto rinuncia ad occupare per intero». L'imperatore ha deciso di narrare a colui che un giorno gli succederà, come in una lunghissima lettera e abbandonando le "prudenze" dei resoconti ufficiali, la propria esperienza di uomo e sovrano, perché sia di ammaestramento al giovinetto, già imbevuto di filosofia stoica, che prenderà il nome di Marco Amelio.
Publio Elio Adriano è un provinciale. È nato nel municipio spagnolo d'Italica, vicino a Siviglia: ha perso il padre ancora giovanissimo; chiamato a Roma dal suo tutore, Acilio Attiano, alterna nella sua adolescenza periodi di vita militare ad altri di studio, e compie un viaggio in Grecia (episodio, tuttavia, non storicamente certo). Siamo negli ultimi anni del principato di Domiziano, assassinato nel 96 d.C. Il suo successore, Panziano Nerva, nomina suo erede un valoroso generale, Marco Ulpio Traiano, cugino e cotutore di Adriano, che si trova in quel momento acquartierato nella Germania Inferiore. Al giovane ufficiale incaricato dall'armata del Danubio di portare le felicitazioni al futuro sovrano giunge, durante il viaggio, la notizia della morte di Nerva; attraverso una marcia avventurosa e dopo aver sventato un attentato del cognato Serviano, egli giunge per primo ad annunciare a Traiano l'accaduto. Quell'ufficiale è il ventiduenne Adriano, che il nuovo imperatore trattiene come tribuno presso di sé. Gli anni del principato di Traiano, costellati da lunghe guerre ai confini dell'impero, vedono la costante ascesa del protagonista, suggellata dalle nozze, puramente "politiche", con Sabina, una nipote di Traiano. Come combattente, Adriano dà altissime prove di sé; parla la stessa lingua dei soldati semplici, ne sopporta le identiche privazioni: dopo aver accompagnato l'imperatore nel conflitto vittorioso contro i Daci, reprime con successo le incursioni dei Sarmati. Nei periodi di pace occupa cariche sempre più alte nella gestione del potere civile, imparando il funzionamento (e i difetti) della complessa macchina amministrativa dell' impero. Nel 112, attratto dalla profonda ammirazione per la cultura dell'Ellade, trascorre alcuni mesi in Grecia; è prodamato "arconte" (magistrato supremo) di Atene. Sono anche anni di amori adulterini: e non c'è scena più bella, nell'intero libro, di quella che lo rappresenta estasiato mentre osserva una sua amante contare il denaro, da lui stesso donatole, che le è necessario per sedurre un danzatore di cui si è follemente invaghita.
I rapporti con Traiano non sono tuttavia idilliaci. Antichi screzi, due temperamenti profondamente diversi; l'avversione sempre più decisa, se pure non dichiarata, di Adriano nei confronti della politica di conquiste del cugino, il quale, ormai avanti con l'età, non ha ancora nominato il suo successore. Adriano si stringe ai suoi alleati (tra i quali annovera la saggia moglie eli Traiano, Plotina), e deve guardarsi da nemici risoluti. Il nodo si scioglie, e nella maniera più drammatica, ad Oriente. Adriano è nominato governatore della Siria; un anno dopo l'imperatore giunge ad Antiochia per cominciare la campagna militare contro i Parti, avversari indomabili fin dai tempi della Repubblica. Dapprima, il successo arride strepitoso alle armate romane, che si spingono fino al Golfo Persico. Ma le grandi città commerciali come Eclessa e Seleucia si ribellano; arabi ed ebrei insorgono; l'imperatore che dopo un conflitto estenuante ritorna ad Antiochia è un vecchio, sfinito dalla malattia. Dice Adriano di quei giorni fatali: «Ero prossimo ai quarant'anni. Se fossi morto a quel momento, di me non sarebbe rimasto null'altro che un nome, tra una serie di alti funzionari [...]». Ma Traiano morente, in viaggio verso l'Italia, lo adotta, non senza il sospetto di qualche macchinazione da parte di Plotina. È il 117 d.C: Adriano ha ora mano libera. Raggiunge un accordo con il re dei Parti, rinunciando ad alcuni dei territori recentemente conquistati. Si libera dei più pericolosi tra i suoi avversari politici. Comincia tra venti di guerra un regno che durera' vent'anni, e che sarà ricordato come un lungo periodo di pace e di prosperità. Con Traiano, come è ben noto, l'impero romano raggiunge la massima estensione; il suo successore si preoccupa innanzitutto di soffocare i torbidi alle frontiere, di erigere nuove fortificazioni, di restauare la disciplina nelle legioni. Le prime missioni del nuovo sovrano sono così di schietto "sapore" militare: in Dacia, per porre un freno alle scorribande sarmate, in Germania, dove nuovi bastioni lungo il Reno restituiscono sicurezza a quel confine; in Britannia, che vede sorgere il famoso "vallo" tra le regioni romanizzate del Sud e le bellicose tribù caledoni dell'odierna Scozia; infine in Mauritania. Il viaggio, che non è mai per Adriano una necessità dolorosa, nemmeno nelle terre più inospitali, si trasfonna in un'abitudine di vita nei lunghi anni di pace. Che cosa spinge l'imperatore a visitare, quasi senza soluzione di continuità, i vastissimi territori del suo regno? Le pagine dedicate a spiegare se stesso e quest'attitudine al nomadismo al suo giovane successore sono tra le più suggestive del romanzo. L'altissimo senso della missione civilizzatrice di Roma, e del suo compito di uomo di governo; il desiderio di osservare con i propri occhi per riorganizzare al meglio la vita politica ed economica delle province; la curiosità intellettuale per ogni società, ogni lingua, ogni forma d' arte, non escluse quelle dei popoli cosiddetti "barbari". Adriano partecipa al clima di sincretismo religioso dell'epoca in cui vive: se il giovane ufficiale di stanza in Germania aveva aderito al culto di Mitra, il sovrano vicino ai cinquant'anni si fa iniziare ai misteri di Eleusi. Né ciò comporta lo spregio o l'indifferenza verso le divinità degli avi, cui fa innalzare in Roma un "Pantheon" (tempio di tutti gli dei) la cui struttura è esemplata su quella dei templi etruschi.
Nulla, o quasi nulla rimane estraneo alla sua apertura mentale. Pure - con una contraddizione solo apparente - vuole che le maggiori conquiste della civiltà latina. e con esse il soffio della grande cultura greca, si estendano a tutti i popoli dell’impero: le strade, gli acquedotti, le città ben ordinate, la giustizia, il culto della bellezza. Di ritorno da una missione diplomatica in Mesopotamia, passa alcuni giorni d’estate a Nicomedia, sulle rive dell’ odierno Mar di Marmara.
Vi fa la conoscenza di un giovanetto appena quindicenne; Antinoo, che gli regalerà cinque bellissimi anni di passione e di felicità, e un dolore quasi inestinguibile. Le tappe di questo amore sono, ancora una volta, tappe di viaggio: dalla Bitinia alla Tracia, all’Attica, fino alla prediletta Atene, che Adriano progetta di ingrandire e abbellisce di nuovi monumenti, come il tempio di Giove Olimpico. A un soggiorno a Roma seguono altri viaggi, costellati anch’essi di momenti di gioia quasi sovrumana. Ma già il destino di Antinoo si insinua nella narrazione, ora con allusioni più o meno velate, ora con esplicite anticipazioni di quel che sarà lo strazio e il senso di colpa dell’imperatore. Forse l’amore del sovrano per il suo pupillo ha cominciato impercettibilmete a incrinarsi; forse quest’ultimo, per motivi noti a lui solo, ha preso da tempo la sua decisione: appare comunque certo, in uno scenario egiziano carico di presagi e di riti magici, che il suo suicidio è un atto estremo di dedizione in favore del suo principe. Il ventenne bitinio si affoga nel Nilo: “I riti di sacrificio di cui Antinoo aveva voluto circondare la sua fine ci indicano una sola via da seguire: non era certo un caso se l’ora e il giorno di quella morte coincidevano con quelli in cui Osiris scendeva nella tomba”, Una città sorgerà sul luogo del lutto supremo, presso un santuario che, rinnovato, sarà dedicato al suo culto. Innumerevoli statue propagheranno nel tempo e nello spazio l’immagine del favorito divinizzato. Straziato, l’imperatore si dedicherà negli anni seguenti al perfezionamento delle sue riforme sociali, giuridiche ed economiche. quali l' "editto perpetuo” sull’amministrazione del territorio italiano; proseguirà la sua opera instancabile di promotore culturale; porterà a compimento alcune delle realizzazioni architettoniche più imponenti del suo principato, come il suo mausoleo (l’odierno Castel Sant’Angelo) e la splendida villa nei pressi di Tivoli dove passerà gli ultimi anni della sua vita. Altre amarezze lo attendono nel periodo finale del suo regno: le atrocità della guerra ebraica del 134-135, condotta in prima persona e nel corso della quale si manifestano, da subito allarmanti, i primi sintomi della malattia; la morte del giovane Lucio, che Adriano aveva adottato facendone il suo successore. La scelta degli eredi (Antonino Pio, che a sua volta adotta Marco Aurelio) sarà comunque felicissima. In parallelo con i progressi del male, le ultime pagine vedono un dialogo sempre più serrato tra Adriano e la propria morte. Alla tentazione del suicidio, alle richieste in questo senso rivolte ai propri servi e collaboratori segue l'accettazione del proprio destino: «L'ora dell'impazienza è passata; al punto in cui sono, la disperazione sarebbe di cattivo gusto tanto quanto la speranza. Ho rinunciato a precipitare la mia morte». Adriano si difende dalle accuse di crudeltà, per atti compiuti sopra ttutto agli inizi e alla fine del suo principato. Si difende dai moralisti - per quell'amore vissuto così intensamente, così tragicamente finito, così sofferto. L'immagine complessiva che le fonti e Marguerite Yourcenar ci consegnano è comunque quella di un grande statista e di un uomo dalla squisita sensibilità.

 

La Donna che Volle Farsi Imperatore

L'8 di giugno 1903, nasce a Bruxelles da agiata famiglia Marguerite de Crayencour, che assumerà lo pseudonimo di Yourcenar, anagramma quasi perfetto del suo cognome reale, a diciassette anni, al momento dei suoi esordi letterari.
La madre, vinta da una febbre puerperale, le sopravvive solo dieci giorni; il padre, Michel de Crayencour, sarà la figura centrale della sua giovinezza. Quest'uomo, gran
giocatore, «così poco padre nel senso della balordaggine o della tirannia che il ruolo può comportare» cura l'educazione della figlia personalmente e attraverso istitutori, incoraggiandone intelligentemente i progressi: Marguerite non andrà mai a scuola. I due viaggiano molto: Parigi, Inghilterra, Sud della Francia.
La prima affermazione per la giovane scrittrice risale al 1929, con la pubblicazione di Alexis o il trattato della lotta vana, incentrato su uno dei temi principali dell'intera sua produzione, quello dell 'omosessualità. In quello stesso anno si spegne il padre. A quel tempo Marguerite ha già visitato città italiane quali Roma e Napoli, e a Tivoli, davanti ai resti della Villa Adriana, ha concepito le future Memorie dell'imperatore.
Seguono anni di nomadismo, segnati soprattutto da lunghi soggiorni in Grecia e da una strenua pratica letteraria ("Pindaro", "La moneta del sogno", "Novelle Orientali" e, pubblicato nel 1939, "Il colpo di grazia"). Opere che suscitano l'interesse della più avveduta critica francese, ma hanno uno scarsissimo successo di pubblico. A Parigi, nel 1937, conosce l'americana Grace Frick, che sarà la sua compagna per più di quarant'anni.
La raggiunge negli Stati Uniti negli ultimi mesi del 1939: un viaggio previsto ma che, per lo scoppio della seconda guerra mondiale, assume tutte le caratteristiche di una fuga.
Pressoché priva di contatti con l'Europa, in difficoltà economiche, Marguerite vive un periodo difficile, e scrive poco. Le due donne acquistano una piccola proprietà ("Petite Plaisance") nell'isola di Mount Desert, al largo del Maine, nel Nord-Est degli Stati Uniti. Diverrà la loro residenza abituale. Marguerite ricomincia a lavorare alle Memorie di Adriano nel 1948; il libro esce nel 1951 ed è un trionfo. Da quel momento, i riconoscimenti del mondo letterario europeo ed americano si susseguiranno, sempre più prestigiosi fino alla ben nota elezione, prima donna nella storia, a membro dell' Académie Française.
Dopo lunghi anni di studi appare nel 1968 "L'opera al nero", affascinante rievocazione dell' Europa del XVI secolo attraverso la figura, stavolta inventata, dell'alchimista Zenone. Nel1979, al termine di una lunga malattia, muore Grace Frick; l'ultimo compagno di viaggi della scrittrice sarà il giovane Jerry \\filson, stroncato dall'Aids nel 1986. Nel dicembre dell'anno successivo muore Marguerite Yourcenar. L'ultima sua grande fatica letteraria è una trilogia dedicata alla propria famiglia: "Care memorie", "Archivi del Nord" e l'incompiuto "Quoi? L'Éternité"

 
   
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